Psicologia in casa famiglia

Dr. ELISABETTA GIULI
Psicoterapia e supporto psicologico per le donne ospiti delle case.

Il primo giorno che ho deciso di fare la psicologa è stato ormai molti anni fa, questo mio sentire si è da sempre profondamente connesso ed intrecciato con un altro aspetto preminente della mia persona: non avrei aspettato in studio che i pazienti arrivassero, avrei voluto lavorare impastandomi e sporcandomi le mani, non chiudendo la porta del mio studio e lasciando il mondo fuori, ma al contrario costruendo qualcosa proprio la fuori che mi avrebbe permesso di aiutare chi davvero quel passo di bussare alla porta di uno studio non riesce a farlo, per i più disparati motivi (da quello economico a quello emotivo, sociale, difensivo ecc).

Senza nemmeno volerlo consapevolmente, nel corso dei miei studi, ho incontrato la psicoterapia ad orientamento psicoanalitico interpersonale, che fonda le sue radici nel pensiero e nel lavoro di H.S. Sullivan, psichiatra psicoanalista che nei primi del '900 rivoluzionò il concetto di psichiatria cominciando ad applicare la psicoterapia psicoanalitica a pazienti gravi, prevalentemente schizofrenici e con forti sintomi dissociativi.

Se si ripercorre la sua storia, la vita intera di Sullivan ci porta a comprendere quanto possa oggi essere prezioso un approccio come quello interpersonale in situazioni di forte compromissione delle competenze sociali, emotivo relazionali ed affettive. Sullivan, infatti, lavorando a stretto contatto con pazienti i quali risultavano gravemente compromessi rispetto al piano di realtà, cominciò a comprendere l'importanza della relazione come strumento di cura.

Toccante ed emozionante l'intuizione che ebbe nel 1920, quando formò le prime comunità terapeutiche intese come le nostre moderne “case famiglia” per giovani con sintomi dissociativi. Egli infatti, aveva avuto modo di comprendere che l'ospedalizzazione di queste persone, ma soprattutto un ambiente medicalizzante e poco familiare, non permetteva a questi giovani di esperire una giusta funzione terapeutica.

Ed è soprattutto qui, che il mio pensiero, il mio sentire, la mia “vocazione” si intrecciano con quella di Sullivan: le prime case famiglia aperte da Sullivan permettevano ai giovani di vivere in comunità e condivisione, in un ambiente buono e bello nel vero senso della parola. Il personale scelto per lavorare in queste case, non era valutato in base ai titoli, ma prevalentemente in base alla centratura, alla capacità empatica e di sintonizzazione, riassunti in un termine al taking role.

La psicoterapia interpersonale, infatti, non si concentra solamente sul passato del paziente come la psicoanalisi classica si può concepire; non si prediligono esclusivamente e prettamente interpretazioni di transfert, ma si lavora attraverso il controtransfert, le reverie e gli enactment del terapeuta.

Il terapeuta non è dunque uno schermo bianco e neutro che riflette i contenuti consci o inconsci del paziente, il terapeuta è uomo presente e vivo nella relazione e come tale completamente in gioco con il paziente in questo viaggio che è la terapia.

Proprio perché la relazione è la chiave principale, mi piace sempre concepire il mio lavoro con la metafora di Seligman che intende la psicoterapia interpersonale come la capacità di “viaggiare con una mappa approssimativa” che non è un'accezione negativa, al contrario vuole mantenere aperti tutti gli scenari possibili che si possono giocare all'interno del rapporto che si crea e si costruisce tra due persone, senza però partire completamente sprovvisti, consiste nel sapere navigare nell'incertezza insieme al paziente, consapevoli che la relazione sarà sempre la nostra bussola.